L’Islanda. Difficile parlare dell’Islanda e della mia esperienza in contemporanea, non sono uno scrittore , tuttavia sono qui a presentarvi la mia esperienza.

Terra impegnativa , dura e un po’ ostile l’Islanda, ma se dentro di voi non sentite altro che euforia e spinta passionale verso una delle zone d’Europa ancora immacolate allora prenotate un volo e fiondatevi tra le fresche montagne di quell’incantevole terra.
Gianluca ed io, abbiamo preso così la nostra decisione.
Senza un preciso itinerario, senza delle precise aspettative, senza l’idea di come avremmo percorso i chilometri presenti tra le varie zone che volevamo visitare a tutti i costi.

Al momento della prenotazione del volo io avevo un piede ingessato e lui una pancia niente male.
Io avevo intenzione di spostarmi a piedi, in autostop o al massimo affittando una macchina (ma i costi erano proibitivi), lui ebbe la brillante idea di girare l’Islanda in bicicletta. Fu così che,da casa, cercammo qualcuno che ci affittasse una bici lì o che ce la vendesse.
Prezzi proibitivi anche in questo caso; maledetti islandesi, sembrava proprio che non ci volessero dalle loro parti.
Comprai una bici di seconda mano e ci allenammo appena mi tolsi il gesso.

L’attrezzatura era fondamentale: pannellino solare, molti calzini, coltello, spago, spiritiera e via dicendo.
Di notevole pregio le staffe a 7 euro comprate al Leroy Merlin, tagliate, levigate e montate sul portapacchi per evitare di cadere nelle inutili spese d’acquisto di borse impermeabili; una busta di plastica intorno allo zaino sarebbe bastata per trovare ogni sera, nella tenda, i miei preziosi indumenti ancora asciutti.

Tenda a due posti, sacco a pelo, materassino per il mare (quello sì che occupa poco spazio!) e altre cose che non scrivo qui per non tediarvi.

Ad ogni modo: partimmo.
Napoli-Roma, ore 6 del mattino. Treno regionale, l’unico che consente il trasporto di bici non smontate.
Roma Termini-Roma Fiumicino in treno (al ritorno l’abbiamo fatto in bici, peccato non averci pensato prima).
Roma-Berlino.
Berlino Keflavik.
L’Islanda appare sempre in modo diverso, giorno dopo giorno; quando poi si riesce a percepire l’essenza, allora diventa tutto più chiaro, come qualsiasi quadro generale delle cose.
Arrivammo di notte, pioveva, le luci delle bici si eran rotte nel trasporto, io avevo solo una luce da applicare sulla fronte.
Ignorammo subito le raccomandazione di parenti, amici ed esperti e ci mettemmo in cammino di notte verso Reykjavik.
Era dura sotto la pioggia, al buio, al freddo e con la bici carica di bagagli, ma eravamo super euforici.
Cantavamo, urlavamo, chiacchieravamo, ci lamentavamo, eravamo forti, super.
Tuttavia, l’entusiasmo non può fare miracoli, così dopo una ventina di chilometri la ragione ebbe la meglio.
Trovammo una specie di città, un insieme di 5 case con massimo 20 abitanti in totale, ma c’era un prato e montammo lì la tenda.
La prima notte spiegai a Gianluca come si univano i vari pezzi della tenda, nemmeno io sapevo farlo poi così tanto bene.
Amici da una vita, stesso modo di intendere quel tipo di esperienza. Per un viaggio del genere non si può partire con una persona a caso.

L’Islanda si presentò così: Umida, libera, ma ovviamente ancora un mistero.
Se raccontassi con tutti questi particolari ogni giornata, probabilmente queste righe le leggerei per intero solo io, quindi vi spiegherò in breve cosa vi aspetta in Islanda, seppur mi piacerebbe essere ancora più accurato nei dettagli.
Viaggiare con mezzi di fortuna, e lì la bici è un mezzo di fortuna (considerate le condizioni meteo), non è mai cosa semplice, ma gli abitanti fanno di tutto per fartela pesare poco.
Ho trovato più persone disposte ad aiutarti lì in un mese che qui in tutta la mia vita.
Ci sono campeggi (se così si posson chiamare quei prati con un bagno-prefrabbicato di legno) con sconti per ciclisti, persone che si fermano per aiutarti in ogni circostanza, ad esempio dopo la foratura di uno pneumatico (disgrazia! non mi fate pensare), c’è gente a caso che ti incita a continuare e che ti offre cibo ( tutto il cibo di cui dispone).
Abbiamo girato quasi tutto il sud in bici.
A Thingvellir siamo stati fermati da dei ragazzi che festeggiavano una rimpatriata e ci hanno offerto birra cibo , simpatia, canzoni e…altro.

Siamo stati in campeggi dove la nostra tenda era l’unica presente.
Siamo stati nella ridente Reykjavik.
Siamo stati a Vik, dove abbiamo conosciuto altri folli viaggiatori . Ce n’era uno: Benjamin ,che girava in autostop senza un fornello per cuocere cibi, senza una tenda, senza niente di niente.
Andava di chiesetta in chiesetta in tutta l’Islanda chiedendo di dormire e mangiava quasi esclusivamente carote e banane.
Abbiamo visto i geyser e non avrei mai immaginato che mi avrebbero suscitato tutta quell’emozione al primo sbuffo di acqua bollente.

E’ stato pazzesco, esilarante, io e GIanluca ci siam guardati negli occhi e abbiamo iniziato a ridere come dei bambini che scoprono il loro nuovo giocattolo preferito.
Siamo stati in posti dove la gente lavora a mano la lana per venderla ai turisti, dove si acciuffano degli uccelli con grosse reti; gli stessi uccelli che saranno poi serviti su un piatto in un costoso ristorante.
Giravamo con una tabella di marcia costruita stesso durante il viaggio e che prevedeva la percorrenza di 50-80 km al giorno in bici.
Abbiamo percorso il “cammino di Thor“, probabilmente l’escursione più bella che io abbia mai fatto.
Si partiva da Skogafoss e si passava attraverso i due maestosi ghiacciai del sud dell’islanda: L’Eyjafjallajökull ed il complesso del Katla per poi arrivare, dopo un percorso estenuante privo di recinzioni e barriere di sicurezza, nel “giardino di Thor”.
Un percorso meraviglioso, che inizia a valle dove si vedono le meravigliose cascate che creano assurdi arcobaleni , continuano su terreni rocciosi dove non cresce nulla al di fuori del muschio giallo , per poi arrivare in cima dove ghiaccio, cenere vulcanica e crateri creano un’atmosfera suggestiva: un paesaggio lunare.

Il percorso andava fatto in due giorni, ma noi eravamo ben allenati.
Mi piacerebbe raccontarvi del ritorno dal giardino di Thor; tornammo con un pulmino che attraversava letteralmente i fiumi, ed era l’unico modo possibile per tornare al punto di partenza senza salir di nuovo su per le montagne.
Ci vuole troppo spazio per raccontarvi tutto.
Le cascate di basalto, la cordialità delle persone del posto e il riso al sugo erano il nostro pane quotidiano.
Quel che si deve sapere, però, è che siam stati molto fortunati.
In tutti posti dove siamo stati, da Gullfoss a Vik, da Skaftafell a Skogafoss , da Hella a Fludir,da Geysir a Thingvellir, e tutti gli altri meravigliosi posti del sud, raramente abbiamo avuto pioggia tutto il giorno.
Ci siamo addirittura abbronzati grazie alla particolare inclinazione dei raggi solari.
Generalmente il sud dell’islanda è più caldo ma anche più piovoso grazie alla presenza della corrente del golfo che a contatto con la temperatura del mare del circolo polare artico genera molta umidità.
Bene. Erano passati molti giorni e scoprimmo che l’unico modo per riuscire a vedere il nord sarebbe stato quello di sborsare una quantità assurda di denaro (si parla di centinaia di euro) per transitare in pullman (con deposito bici) lungo la costa est, oppure pedalare con il rischio (quasi la CERTEZZA) di non riuscire mai ad arrivare nei posti bellissimi che ci aspettavano nelle zone più fredde dell’Isola.

Fu durante la nostra unica litigata (aveva piovuto tutto il giorno e scoprimmo questa terribile realtà) che mi venne in mente di tornare in pullman ad ovest (Reykjavik) e fare l’autostop per arrivare in qualche modo a Nord.
Mai scelta fu più felice , amici miei.
Gianluca, pensò a tutto.
Biglietti, orari del pullman e tempistiche. Il giorno dopo eravamo a Reykiavik, dopo settimane di stancanti pedalate.
Bastò una giornata . Ecco il potere di avere un motore e non delle gambe su cui contare.
Posammo le bici al campeggio (disponibile a qualsiasi tipo di esigenza dei viaggiatori), ricavammo dei cartelli da dei cartoni trovati per caso e ,sotto un sole splendente, iniziammo questa nuova avventura.
Riassumerò anche qui, ma non posso non soffermarmi proprio sul viaggio d’andata.
In men che non si dica, iniziarono a fermarsi tutti.

Nessun turista, solo Islandesi, alcuni disposti a portarci con loro anche per pochi chilometri.
La nostra meta era Akureyri, la capitale del nord, ma la gente che ci portava con loro anche solo per una quarantina di chilometri voleva sentire la nostra storia e voleva offrirci quanto più potevano.
Evito di parlarvi di tutti quelli che incontrammo, ma vi devo parlare di Thor.
Un’auto che ci aveva dato un passaggio, lasciò me e Gianluca lungo la strada deserta (le strade son sempre deserte in Islanda), dove c’erano già un ragazzo ed una ragazza che facevano l’autostop.
Ci avvicinammo e subito entrammo in confidenza, scambiandoci birra e biscotti.
Thor ci chiese dove eravamo diretti, Thor è islandese (di Akureyri), la sua ragazza no.
Noi rispondemmo che avremmo cercato di raggiungere Akureyri entro il pomeriggio e lui su due piedi ci diede il suo indirizzo di casa e ci autorizzò a stare da lui anche prima del suo arrivo.
Gli Islandesi non concepiscono la truffa, il pericolo, la possibilità che tu voglia ledere in qualche modo.
Arrivammo prima di lui, montammo la tenda in giardino, non entrammo in casa e andammo a fare un giro nella capitale che contava 20000 anime (la capitale….pensate).
I giorni seguenti li passammo con Thor e Jolanda; ci portarono a cogliere funghi e a scoprire la vita del cittadino islandese.
Dopo due giorni li lasciammo e continuammo con l’autostop, verso zone ancora più deserte, tanto da trovare difficoltà nel reperire passaggi.
Arrivammo a Myvatn, una cittadina su un lago che accoglieva una quantità assurda di specie di uccelli.
In città ci diedero un volantino dove erano elencati tutti gli uccelli che avremmo potuto trovare, il gioco consisteva nell’avvistarli e segnarli sulla carta.

Non giocammo, la nostra tenda era sporca di cacca d’uccello ogni mattina.
Bel posto quello, però.
C’era una quiete sulle sponde di quel lago che non saprei paragonarla ad altre cose.
Una terra solitamente così dura, piena di vulcani, potenti cascate e colori che tendono al nero appena si guadagna quota, capace di donare tanta serenità in un posto così magico come quello.
Lì vicino, trovammo una spaccatura enorme nel terreno e sotto c’erano delle sorgenti di acqua caldissima.
La bellezza di quelle piccole grotte con la condensa che saliva dal pelo dell’acqua verso il tetto roccioso fu qualcosa di così bello che non dimenticheremo facilmente.
Alla fine andammo via anche da lì, di nuovo verso sud, fermandoci in un paio di posti.
Il nord che volevamo esplorare era stato esplorato, di più non potevamo fare.
Ci giunse notizia di una grande fetta del nord che era stata chiusa per l’eruzione di un vulcano (notizia che è arrivata prima ai miei genitori in Italia che a me lì).
Ad ogni modo, dopo varie peripezie che non son sicuro siano state del tutto legali e che quindi non scriverò qui , arrivammo di nuovo a Reykjavik. Pensammo che la vacanza era finita, ma conoscemmo due svizzeri-francesi che come noi avevano girato molto ma non erano stanchi. Decidemmo di andare a vedere qualcosa che mancava ad entrambi i gruppi.
Volevamo provare a salire su una barca che andava a caccia di balene, spacciandoci per scrittori o registi.
Alla fine raggiungemmo (sempre in autostop) l’unico fiordo dell’Islanda dove partono le navi che vanno a caccia di balene (son disposto a parlare dell’argomento, la cosa è molto meno cruenta di quel che sembra, miei cari ambientalisti, vegetariani e amanti degli animali).

Ci accontentammo di assistere al “taglio-smembramento”(non so come definirlo) delle balene.
Un processo lungo, faticoso , sofisticato e molto particolare.
Furono immagini ed odori forti, non avevo mai visto una balena tirata a secco, figuriamoci tagliata a pezzetti con quelle grosse mazze con lunghissime lame affilate alle estremità.
I pescatori camminavano sulla balena mentre la affettavano, pazzesco.
Tuttavia, per assistere al mattino a questo cruento spettacolo, la notte prima dormimmo tutti e quattro su una collina a caso con vista sul buio fiordo.
Che magnifica notte fu quella.
Le notti in Islanda son tutte magiche se non soffri particolarmente il freddo.
Che altro dire?
Fatta questa esperienza tornammo indietro, conoscemmo altra gente, mangiammo lo squalo.
Ovviamente ci sono molte altre cose da raccontare: infinite!
E’ proprio questo il punto! Andate in Islanda e vivete la vostra avventura; tornate a casa e sentitevi ricchi di qualcosa che prima non sognavate nemmeno che potesse appartenervi.
I viaggi arricchiscono, tutti i viaggi arricchiscono, ma da una terra ricca di magia e bellezza come quella non si può tornare a casa senza sentirsi infinitamente arricchiti, infinitamente felici per quel che hanno potuto assaggiare i vostri sensi, tutti i sensi!
L’Islanda è da toccare, gustare, vedere, annusare ed ascoltare.
Non c’è suono di cascata che non sia accompagnato dal morbido tocco del muschio , dalla vista di un arcobaleno, dall’odore d’aria pulita e dal sapore dell’acqua pura.
Una terra di acqua e fuoco che metterà a dura prova l’incapacità che abbiamo tutti noi italiani di amare un posto in cui la vita non è facile.

Vi ringrazio per aver letto quanto avevo da dire su questa terra.
Buon viaggio.
Nicola Zalloni.